Un titolo di questo genere, con i tempi che corrono, appare alquanto fuori luogo. Ed invece mai fu più giusto.
Il 15 aprile 2010 è arrivata la storica sentenza del Tribunale di Torino in merito al rogo della Thyssen. Sedici anni per l'ad Espenhahn. Condannati gli altri 5 imputati: 13 anni per quattro dirigenti, 10 anni per Moroni. La condanna muove dal presupposto che gli imputati siano colpevoli di omicidio volontario per “dolo eventuale”: ovvero l'agente si rappresenta la possibilità che l'evento si verifichi e accetta la possibilità che tale fatto si verifichi, decidendo di agire “costi quel che costi”. È la prima volta che un Tribunale riconosce un reato così grave per “incidente” sul lavoro, nel quale, il 6 dicembre del 2007, morirono 7 persone.
Secondo l’accusa il rogo della ThyssenKrupp fu una “tragedia annunciata”, causata dalla colpevole omissione di adeguate misure di sicurezza all’interno di uno stabilimento in via di dismissione: sistemi di rilevazione incendi assenti, estintori vuoti o malfunzionanti, carenza di manutenzione, sporcizia e, soprattutto, quell’email firmata Harald Espenhahan in cui l’amministratore delegato dichiarava il dirottamento di un investimento di 800 mila euro (sollecitato dalle assicurazioni nel 2006 dopo un analogo incendio nello stabilimento tedesco di Krefeld) “from Turin”, cioè non a Torino, ma a Terni, dove la linea 5 avrebbe dovuto essere smontata e trasferita (dove peraltro, come ben ricordiamo, vi furono altri incidenti).
Certo, la sentenza non darà certo la vita alle persone morte in quel triste giorno inveranale, non darà un padre, un figlio, un marito alle famiglie degli operai, ma almeno la consolazione che la Giustizia, ogni tanto, esiste. Che alla fine qualcuno pagherà per quel che è successo.
Il lavoro non è solo profitto, aumento della produzione. Il lavoro è il fondamento della vita di ognuno, e deve essere svolto nella consapevolezza di poter tornare, alla fine della giornata, a casa dalle proprie famiglie.
E, forse almeno per una volta, gli italiani si sono ricordati che “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro” (art. 1 Costituzione) e che “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35).
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